14 giugno Melide-Salceda
Ieri sera arrivando a Melide, il contrasto non avrebbe potuto essere più stridente. Nell'Albergue Municipal mi sono sentito frastornato dal numero di persone considerando che il giorno prima eravamo in quattro a San Romao. Qui c'è gente che ha fatto centinaia e centinaia di chilometri, la stanchezza è materiale, io mi sono sentito un nano al confronto, come se avessi portato fuori il cane, ma poi ho ripensato alle montagne e un po' mi sono consolato.
Trovata una branda al primo piano, sistemate le cose, fatta una doccia, sono uscito per fare un giro e mi sono fermato un po di tempo nella chiesetta di San Pedro in Plaza Convento. Sembra che tra le cose a cui questo Cammino mi sta portando ci sia una rinnovata, per non dire nuova, necessità di spiritualità e religiosità, ho passato più tempo nelle chiese in questi quattordici giorni che nei precedenti quattordici anni. Ma per il momento questi pensieri li parcheggio in un angolo perché ci sarà tempo in futuro.
Uscito dalla chiesetta, ho passeggiato per la cittadina ma senza troppo entusiasmo. Difficile condividere uno stato d’animo preciso. Sicuramente essere tornato in mezzo ad aggregazioni umane con più di dieci persone per volta potrebbe essere considerato piacevole, quasi necessario per l’equilibrio psicofisico, eppure la nostalgia per le distese inabitate, i sentieri persi in boschi con un che di primordiale, le ore, ore, ore, spese camminando unico compagno dei miei pensieri, si fa acuta e palpabile, quasi fosse ormai la solitudine diventata una seconda natura. Mi tornano in mente pensieri fatti mentre mi avvicinavo a Sant’Eulalia,
“la solitudine è diventata una parte inseparabile di me che, come l'ombra di Peter Pan, mi segue ovunque. Io l'ho assorbita, elevandola da desiderio, prima di partire, a necessità, compagna di viaggio, madre, amica, sorella. Ti ci puoi appoggiare tanto è materiale, ci puoi scivolare dentro nei momenti cupi, farti spingere in quelli di esaltazione, lei assorbe tutto, conserva tutto, restituisce tutto, inclusa quell'immagine di te stesso che lei ti ha aiutato a depurare, pulire e distillare negli interminabili chilometri in cui ti sparava contro le tue contraddizioni”.
Mi sono fermato ad un bar, ho bevuto una clara, chiamato Alfie perché, oltre non volerlo far preoccupare, avevo bisogno, voglia, desiderio di sentire la sua voce, cenato con Terry e Annamaria e per raccontarne i dettagli servirebbe un altro diario, sono tornato all’albergue e perso conoscenza.
I rumori dei pellegrini “francesati” mi svegliano dalle parti dell’alba. Anche in questo percepisco delle differenze. Anche i risvegli sul Primitivo sono una questione individuale, con una dimensione quasi intima, pochissimo o nessun rumore, passi felpati, movimenti accorti, mentre qui c’è più camraderie, rumori, parole, si sente che molte persone sono in cammino da tanto e da tanto con altre persone, c’è energia nell’aria, energia condivisa, distribuita, diffusa, quando sul Primitivo c’era energia personale, individuale, ricerca di risorse nel proprio intimo.
Come che sia sia, mi alzo, mi vesto e si parte. L’uscita dall’albergue è come un incrocio semaforico, quasi tocca aspettare che finisca un’ondata di pellegrini per inserirsi nel flusso della corrente. Mi avvio con il mio solito passo, la caviglia, sebbene addomesticata e riportata a più miti consigli dalla cruenta lotta intercorsa tra me e l’altro me, ancora si fa sentire e comunque ormai non c’è più fretta anche se devo confessare che essere in mezzo a cotanta moltitudine genera effetti contrastanti. Da un lato non sono più concentrato e attento a quello che mi circonda, i paesaggi, pur bellissimi, della Galizia poco possono al confronto con la leggiadria e imponenza di quelli Asturiani, e ricordano quasi le passeggiate nei boschi vicino casa. Dall’altro, è impossibile non percepire l’energia che c’è su questo Cammino. Non che sul Primitivo non ce ne fosse altrettanta, ma, come detto, prima, è diversa, più solitaria mentre qui è diffusa. Ed accade una metamorfosi, tutta l'energia che ho imparato ad estrarre e distillare dal mondo circostante e da me stesso nelle giornate asturiane, entra in sincronia con la corrente che sottende e permea quest'ultima parte di Cammino sul Frances creando una miscela esplosiva. Senza accorgermene, accelero il passo, non sento più la caviglia dolorante, oppure la caviglia si è arresa all’evidenza ed ha smesso di dolorare, e procedo spedito, macino, chilometri, supero persone, mi sembra di non essere più io a camminare, mi sento come una barca con 30 nodi di vento, i polmoni le vele, le braccia scotte di randa e genoa, le gambe timone e deriva, e nessuna onda mi ferma più.

Poi torno in me, devo impormi di rallentare, devo fare soste, altrimenti rischio di tirare dritto fino a Santiago stasera e quindi inizio a fermarmi ad un punto di ristoro ogni tre, mi mangio un gelato, mi bevo una coca, osservo questa moltitudine intorno a me, stranieri e sconosciuti, tutti diretti verso la medesima meta ognuno con uno scopo, un motivo, una ragione diversa oppure senza nessuno dei tre.
Entro ad Arzua, ormai il cellulare ed il gps riposano in tasca da ore perché è impossibile perdersi, flechas amarilla tappezzano marciapiedi e muri e se anche non ci fossero o non si vedessero basterebbe seguire il flusso dei pellegrini che, come un fiume impetuoso in primavera, scorre senza sosta, continuamente, fluido anche se fatto di singoli individui.
Sulla piazza principale penso che sia il momento di fare una delle tante pause che costellano questa giornata e mi siedo su una panchina, mi giro e chi ti vedo … Nick, lasciato a Sant’Eulalia e arrivato qui con la variante di Sobrado, che mi racconta come tutta l’acqua che ho preso io ieri loro l’hanno subita in mezzo ai boschi, su sentieri non segnati, senza o con pochissimi segnali. Sembra stanco ma al contempo felice e soddisfatto, ma anche contento di essere tornato sul percorso principale. Mangiamo insieme un bocadillo e ripartiamo, inizialmente camminando affiancati e chiacchierando come tra Berducedo e La Mesa, ma dopo un paio di chilometri lo lascio andare avanti, perché va bene che oggi sono carico e vado spedito ma i miei tronchetti nulla possono con le sue lunghe leve. Restiamo d’accordo che avrebbe provato a trovare un albergue lungo la via e nel caso mi avrebbe texted sul cellulare.
Riprendendo il mio cammino, il mio sguardo e la mia attenzione si posano sui “compagni” di viaggio. Gente di tutte le etnie, fattezze, stati fisici, stati emozionali, singoli, gruppi, famiglie, il Frances è un altro cammino rispetto al Primitivo, non meglio, non peggio, solo diverso e per questo unico come ogni cammino.
To sail on a dream on a crystal clear ocean, To ride on the crest of a wild raging storm, To work in the service of life and living, In search of the answers to the questions unknown, canta John Denver nelle mie orecchie, mentre io infilo un passo dietro l’altro, su un percorso ormai divenuto praticamente tutto in piano su cui le mie gambe possono soffrire di stanchezza ma non di inadeguatezza.
Nick texta, tutto a posto. Ho perso il senso del tempo, è ancora giorno ma non so che ore siano, cammino come se non fossi capace d’altro e probabilmente ormai è così, finché non arrivo all’albergue a Salceda, altre quattro case buttate a caso ai lati della carrozzabile, dove mi registro, salgo nella camera a quattro letti (wow) e trovo anche Manfed, disfo lo zaino e scendo a fare una doccia (con idromassaggio secondo wow) e poi sdraiarmi nella sala comune a bere una birra.
C’è un bel po di gente, non ero più abituato ma non ci vuole molto ad entrare nello spirito. Lingue diverse, idioma da cammino, si incrociano e raccontato storie. Anche io nel mio piccolo posso ormai vantare una “quasi-storia” e mentre la racconto, perché sul Cammino non esiste che non chiedi a chiunque da dove arrivi, prendo atto che andare a Santiago con il Primitivo suscita ammirazione negli altri pellegrini, e mi fa tornare in mente una cosa accaduta a Fonsagrada e di cui non avevo più scritto. Messa delle 20, al termine della liturgia il parroco resta anziché andare via e chiama i pellegrini presenti per una benedizione. Il momento è particolare, anche per me, ma quello che più mi ha commosso e riempito il cuore è stato il gesto di riconoscimento pubblico del pellegrinaggio attraverso una preghiera semplice ed efficace e parole di conforto e sostegno altrettanto dirette e immediate. Quando quello che stai facendo esce dalla tua sferra personale, dall'intimità in cui è nato e dall'orizzonte individuale con cui lo stai vivendo, ti rendi conto che fare il Cammino non è solo e unicamente un tuo affare ma ha e può avere influenza anche sugli altri.
Passerei ore ad ascoltare ma è ora di cena, Nick e Manfred scalpitano per andare al bar tienda di fronte e, ovviamente, mi aggrego, perché ok la stanchezza ma qualcosa bisogna anche mangiare.
Menù del pellegrino in perfetto stile Cammino, cosa puoi volere di più dalla vita se non una semplicità che a tratti sfiora la povertà, ma che ti rendi conto essere puramente materiale mentre nello spirito si tratta di valori inestimabili condivisi a piene mani con la dignità propria soltanto di chi ha poco ma quel poco lo distribuisce generosamente perché tutti ne possano rallegrarsi?!
Meno uno alla méta, domani sarà Santiago …