Cammino del Norte – 16 aprile 2006 – Pasqua
Tappa lunga, faticosa. Partita da Bilbao. Oggi è Pasqua, giornata di festa ma non vedo differenza con le altre giornate. La Pasqua, la rinascita è dentro, sentirsi risorgere. Dovrebbe essere così, ma oggi non la sento.
Dopo ore di camminata (sono quasi le dodici e siamo in cammino dalle otto) l’illusione di un rifugio e di fianco un bar. Di fronte ad una piccola spiaggia. Giro intorno all’albergue: chiuso. Il bar: chiuso. Un cartello sulla porta dell’albergue dichiara che l’apertura è per le dodici e trenta. Non voglio fermarmi qui, ma ho bisogno di un bagno, vorrei il sello, fermarmi un pochino a riposare. E infatti decidiamo di aspettare. Nel mentre vado a visitare la chiesa, suppongo ci sia la messa di Pasqua, penso che tutti siano a messa, visto che non c’è un’anima in giro. Poche case, una spiaggia, il bar, non c’è altro.
Spingo la porta della chiesa e quasi travolgo il prete che stava per uscire. E’ tutto buio, spento, non c’è messa, non c’è nessuno. Il parroco mi dice che sta chiudendo, è piuttosto sbrigativo, ha paura che mi voglia fermare in chiesa? forse è ora di pranzo anche per lui? Non credo, gli orari spagnoli con contemplano il pranzo a quest’ora. E infatti, sbucano dalle poche case gli abitanti, vestiti con gli abiti della domenica e tutti si dirigono verso il bar che nel frattempo sta aprendo. Ora dell’aperitivo, suppongo. Chiedo al barista a che ora effettivamente apre l’albergue, sono già le tredici e nessuno si è visto. Fa caldo, ho fame, voglio un bagno!! Mi domando perché mi sono impuntata nel restare qui, mi sembra di essere una bambina capricciosa che punta i piedi. C. mi dice “andiamo”, è inutile stare qui. Prima ho sbirciato attraverso le grate che chiudono le finestre: vedo un salone con cucina e da un’altra finestra letti a castello nuovi, sembra tutto pulito. Il barista mi toglie ogni illusione: l’albergue è proprio chiuso, aprirà per l’estate. Telefono a J. E gli dico che ci raggiunta a Castro Urdiales.
Sconsolata tiro su lo zaino, riprendo la strada sotto gli occhi curiosi e compassionevoli dei clienti. Un ultimo sguardo alla spiaggia e poi inizio l’ennesima salita, direzione ovest, come sempre.
Lunga la strada sino a Castro Urdiales, salite e discese leggermente all’interno, dall’alto vedo il mare alla mia destra, mare sconfinato, bello. Sono figlia del mare, in acqua sono nel mio elemento. Lo guardo con senso di appartenenza, lo riconosco. Ogni tanto penso “oggi è Pasqua, è giorno di festa, Cristo è risorto, ogni anno risorge, ogni giorno”, pensieri stupidi che vanno e vengono, stupidi perché sono pensieri senza legame l’uno all’altro. Mi domando spesso perché sono sul cammino del norte, proprio su questo. Perché ho scelto questo e non un altro? Perché non il portoghese? O l’Inglese che è anche molto più breve? Mi affascinava l’idea di contemplare il mare o di camminarci accanto. Mi aveva colpito molto quando l’aveva fatto Luciano, pensavo a come l’aveva descritto lui.
Arriviamo a Castro Urdiales, un lungomare che si perde all’orizzonte, seguire le frecce non è complicato, lo diventa quando ci addentriamo nella città per trovare l’albergue.
Chiedo a destra e sinistra, pare che nessuno sappia niente e i pochi che, pensandoci un po’ su, hanno una velata idea del posto dove dormono i pellegrini, ci indirizzano ad un centro sportivo. Alla fine trovo una vigilessa, chiedo a lei e lei, dopo aver chiamato via radio, ci manda alla policia municipal. Altro girovagare per trovare il posto di policia (e continuo a pensare “oggi è Pasqua”), finalmente un tbrutto locale, piano rialzato, nella parte vecchia e periferica della città ha l’insegna che cerco. Gentilezza ma aria di mal sopportazione. Timbro sulla credencial e l’addetto dice di ritornare al centro sportivo, loro arriveranno subito per aprire. Forza, girare sui tacchi e imboccare la strada del centro sportivo, di nuovo! Per fortuna un poliziotto arriva subito, bello da morire che pare un attore, molto gentile. Apre il polideportivo, mostra il campo di pallacanestro, alcuni materassi poggiati al muro e capisco che quello sarà il regno per una notte. Precisa anche che, se vogliamo, possiamo uscire dalla porta antipanico ma se dobbiamo rientrare, è necessario ritornare al posto di polizia e avvisare che vogliamo tornare dentro, così loro vengono ad aprire. Domando cortesemente perché non ci lascia la chiave che poi l’indomani mattina la riporto io alla stazione. Mi guarda perplesso e secondo me sta pensando “ma che eresia dice?”. Niente da fare, nada, non se puede. La llave està alla stacion de policia! Se ne va, bel giovane con lo sguardo ammaliatore ma purtroppo malfidato.
Un giro di ricognizione nel centro mi porta a conoscenza della triste realtà: bagni o meglio cessi senza porte, doccia da spogliatoio, cioè una lunga fila di doccioni lungo una parete, nel grande locale immediatamente attiguo al campo da pallacanestro, senza alcuna privacy, è un corridoio di collegamento con docce!, acqua calda zero. Mi viene lo sconforto totale. E’ Pasqua!
Dunque, ragiono tra me e me, sono una pellegrina, non ho pretese, mi adatto a tutto, non chiedo più di quello che mi possono dare, non voglio le cinque stelle con colazione a letto, ma cavolo! Non me la sento di dover di nuovo andare alla policia ad avvisare che voglio rientrare se per caso dobbiamo andare a mangiare. E dobbiamo andare a mangiare!
La stanchezza mi sta facendo perdere il senso della realtà, ma non devo perdermi d’animo. Apro e chiudo la porta antipanico, cercando di capire se c’è un modo per non farla chiudere completamente ma niente da fare. Penso e ripenso…”e se andassi a prendere qualcosa da mangiare lasciando C. a guardia degli zaini? E se mandassi C. a prendere qualcosa e io rimango lì?” Ma mi fa paura restare in quell’immenso polideportivo circondato da vetrate, mi abbandono allo sconforto. Alla fine decido: prendo su lo zaino, e “io vado via, cerco un albergo o una stanza da qualche parte. Tu vieni?” Non mi sento una pellegrina al 100 per 100, ma è Pasqua del Signore, sono stanchissima, ho fame, mi sento lurida. Ci avviamo chiudendoci alle spalle la porta antipanico e penso alla faccia del bel poliziotto se per caso va a fare un controllo e non trova nessuno!
Piazzetta sul lungomare, le persone passeggiano, assaporano la libertà del giorno di festa, il giorno del Signore, sono tutti in pace con se stessi, hanno festeggiato, molti di loro sono andati a messa, hanno pranzato come si deve, ora gironzolano incontrando amici e conoscenti. E sta iniziando a scendere qualche goccia, poca cosa, ma sembrano le lacrime che sono lì lì per sgorgare dai miei occhi. Reagisco, e che diamine! È Pasqua, sono o no capace di trovare un posto per dormire? Fermo una ragazza e domando nel mio spagnolo scarso, zoppicante e cantilenante, dove posso trovare un alberghetto non troppo caro. Mi indica una via dove dovrebbero essere vari alloggi. Vado, ho lasciato lo zaino a C. che rimane in piazzetta, sperso. Nel frattempo telefono a J. e gli dico dove sono, mi dice che arriverà dopo un’oretta buona. Si sono fatte le sei. Trovo un’insegna di un albergo, suono alla porta chiusa e già la prima impressione è buona. Salgo al primo piano e una signora sorridente mi accoglie, è cortese, attenta. Secondo me fa finta di non vedere i pantaloni e gli scarponi polverosi, l’aria infelice che sento di avere. Non fa tante domande, non si meraviglia del mio aspetto ma quando le dico che sono una pellegrina di Santiago, si illumina e quasi mi abbraccia. La stanza c’è, costa 57 euro ma sono una pellegrina e per me costa 45, da dividere in tre. Non vuole nemmeno il pagamento anticipato al contrario di quanto è la norma. Mi tranquillizza, mi dice di andare pure a prendere lo zaino, la stanza è mia.
Torno in piazzetta e decidiamo di aspettare J. e quando finalmente arriva prendiamo possesso della stanza. Mi sta passando la tristezza, non del tutto ma va un po’ meglio. Ma perché questa tristezza? Nostalgia di mia madre e soprattutto penso alla sua di tristezza, la festa Santa senza me. Continuo a telefonarle tutti i giorni ma so che non ci crede che io stia bene, ha paura e la sua paura è incontrollabile, non può governarla. Forse oggi avrei voluto essere lì con lei, avrei voluto volare come una mosca, andare a farle gli auguri di persona e tornare subito sul mio cammino per Santiago. Ho nuovamente voglia di piangere. Sempre le lacrime in tasca!
Dopo le docce e i lavaggi biancheria nel minuscolo bagnetto, pulitissimo, andiamo a mangiare, finalmente.
Piove, degna conclusione. A pochi passi dall’albergo troviamo un localino minuscolo, cameriere italiano, proprietario italiano! Mangio come se fosse il mio primo pasto dopo giorni, come se fosse l’ultimo pasto della mia vita. Mangio tentando di annegare nei polpi, nei calamari fritti, nel grandissimo plato combinado, nel vino abbondante la mia tristezza di tutto il giorno, questa strana mia ricerca dei segni di una Pasqua che non ho trovato. Mi sento stupida, sono stupida, la Pasqua è dentro me, devo cercare solo dentro me la rinascita, il risorgere di ogni giorno. Non è così che si vive la Pasqua del Signore. Stupida stupida! Abituata a vedere i segni esteriori della festa e non sono stata capace di andare oltre, ora che sul cammino ne avevo l’occasione più di quando sono nella vita quotidiana. Mentalmente recito una preghiera chiedendo scusa per la mia pochezza. E’ stato un crescendo di passi sbagliati, oggi, di pensieri sbagliati.
Nel buio della notte sento i respiri tranquilli dei mie compagni di stanza, mi domando se anche loro hanno avuto i mie pensieri, le mie domande, i miei dubbi. Non lo so e domani non lo chiederò. Per tutta la giornata non ho fatto altro che pensare “è Pasqua” e non sono stata capace di viverla, la mia Pasqua.